Notizie Radicali
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  giovedì 31 marzo 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Valeva la pena di conoscerli. Riccardo Lombardi.

di Giuseppe Loteta

Il 29 aprile del 1945 Milano è una città stremata. La guerra è finita da tre giorni, con l'insurrezione partigiana. E nel capoluogo lombardo manca tutto: latte, carne, pane, trasporti, materie prime perchè le industrie possano ricominciare a funzionare. Ma nel palazzo della prefettura un uomo di poco più di quarant'anni, magro, alto, con gli occhiali, eternamente avvolto in una nuvola di fumo, sa quel che deve fare. Spicca un mandato di cattura contro Pirelli, Donegani, Marinotti, Treccani, buona parte della classe dirigente industriale compromessa con il fascismo e che non aveva molta voglia di riaprire le fabbriche; sequestra la Galbani per le incette di latte che impedivano i rifornimenti alla popolazione; autorizza i comitati di liberazione nazionale a prelevare viveri nei depositi militari; organizza corpi partigiani contro la borsa nera. Quell'uomo è Riccardo Lombardi, prefetto della liberazione. E in breve ogni abitante di Milano riceve 150 grammi di pane e 100 grammi di latte al giorno, le industrie riaprono i battenti, ricompaiono i i tram, si firmano i primi contratti di lavoro. La città riprende a vivere.

 

Prima d'allora Lombardi aveva preso parte alla guerra partigiana, aveva rappresentato il partito d'azione nel Comitato di liberazione nazionale alta Italia e in questa veste aveva partecipato, lo stesso giorno del suo insediamento alla prefettura, all'incontro nell'Arcivescovado di Milano con un Mussolini incerto tra la resa e la fuga: una trattativa che non approdò a nulla, poco prima che il capo del fascismo si allontanasse con un corteo di auto verso la sua fine. E prima ancora era stato un giovane ingegnere dedito alla lotta antifascista e tra i fondatori del partito d'azione, sulla scia di Giustizia e libertà, l'organizzazione parigina di Salvemini e dei fratelli Rosselli. Nel 1930 una selvaggia bastonatura dei fascisti gli era costato un polmone. L'altro lo intossicò lui con il fumo della sua pipa per altri cinquantaquattro anni.

 

Lombardi è stato, insieme con Parri e Rossi, uno dei fondatori de l'Astrolabio. Dopo lo scioglimento del partito d'azione si era iscritto al Partito Socialista. Si racconta che, prima, avesse chiesto di aderire al partito socialdemocratico, ma che Saragat si fosse opposto perchè Lombardi non era marxista. Mentre Nenni, con i piedi per terra, si era detto felice di accoglierlo. Così Lombardi diventa in breve tempo il teorico e il più strenuo assertore dell' "autonomia" del Psi dalla stretta comunista prima e dall'abbraccio della Dc nel centro-sinistra dopo. A l'Astrolabio, dove ho spesso occasione d'incontrarlo, entra a far parte del comitato dei garanti del giornale. Se ne distacca nel dicembre del 1967, con Santi, Codignola, Giolitti, Bonacina, quando Parri costituisce per le elezioni del 1968 la lista degli "Indipendenti di sinistra", vicina al partito comunista.

 

Bisognava sentirlo parlare, Lombardi. Mai un discorso scritto, mai una scaletta. I suoi interventi, sempre a braccio, qualunque fosse la sede in cui parlava, il partito, il Movimento Salvemini, un convegno economico o politico, un comizio, erano lezioni di economia, di politica, di rigore morale, pronunciate con estrema semplicità, in modo che tutti potessero capire. Nel partito socialista è stato certamente il dirigente più applaudito e il meno votato. Sua, nel primo centro-sinsitra, la battaglia, felicemente conclusa, per la nazionalizzazione dell'energia elettrica, che allora sembrava una grande conquista e forse non lo era. Ed era diventato per questo la bestia nera del presidente della Repubblica, Segni, ostile alle riforme portate avanti dai socialisti. Negli anni Settanta si gettò con passione nel tentativo di costruire politicamente e culturalmente le basi di un'alternativa di sinistra ai governi a guida democristiana. Ma nè il partito comunista, nè il partito socialista lo seguirono su questa via. Il primo imboccò la strada delle grandi intese, del compromesso storico, della solidarietà nazionale. Il secondo, della collaborazione-competizione con la Dc. E poi vennero gli "anni di piombo", il caso Moro e il contrasto sempre più accentuato tra Psi e Pci.

 

Negli ultimi anni incontravo spesso Lombardi, sempre più curvo, appoggiato al bastone, nel Transatlantico di Montecitorio. Si parlava seduti su uno dei divani che fiancheggiano il salone. Aveva ridotto di parecchio l'attività politica. Ma non era stanchezza, era una scelta. I luogotenenti della corrente lombardiana, Signorile, De Michelis, Cicchitto, avevano fatto strada ed erano inseriti in pieno in una strategia politica che lui accettava con qualche riserva. Non era contrario alla nuova alleanza con la Dc e, tantomeno, alla presidenza del consiglio socialista. Ma temeva che si perdesse di vista la sua creatura di sempre, l'alternativa di sinistra.

 

In via del Corso, nella sede del partito socialista, continuava ad avere un ufficio, piccolo e disadorno. Al muro, una fotografia di Fernando Santi, il sindacalista socialista che aveva diviso con lui tante battaglie all'interno e all'esterno del partito. E' lì che accetta di ricevermi per un'intervista nel 1984, qualche mese prima di morire. Naturalmente, è l'alternativa a farla da padrone. "Non credo", dice, "che il Psi debba inibirsi dal discutere di un'alternativa di sinistra mentre è vincolato a un'alleanza con la Dc. Un'alleanza di governo, specialmente quella attuale, praticamente dipendente più da uno stato di necessità che da una scelta autonoma, non può interdire di pensare ad altre forme di governo e a vincoli diversi, anche opposti". E cita ad esempio la Germania, dove il partito socialdemocratico si era alleato con la Democrazia cristiana per la formazione di un governo che aveva reso possibile la "Ostpolitik", ma aveva rotto quell'alleanza non appena la situazione elettorale lo aveva reso possibile.

 

Tra uno sbuffo e l'altro della pipa che continua ad avvelenarlo, Lombardi definisce il Pci e il Psi "due meticci". "Sono entrambi", aggiunge, "figli naturali della scissione del 1921, entrambi in possesso di una quota dell'eredità paterna e in aspra contesa per la parte residua". Lui ha dedicato gran parte della sua vita al tentativo di riunificare le due quote ereditarie e di destinarle, una volta diventate un tutt'uno, al mercato politico italiano. Ma non è andata così e Lombardi, per fortuna, non ha visto come è finita.

 

22) Segue